mercoledì 13 maggio 2009

Gli effetti della musica fin dall'antichità.

L'effetto della musica (e dell’arte più in generale) sulla psiche e sull’animo umano era noto fin dalla antichità: nelle prime civiltà note i sacerdoti erano i depositari dei saperi ed insieme dispensatori delle terapie.
Nei rituali che dovevano scacciare il male dal corpo i movimenti, i ritmi ed i suoni erano fondamentali e tutto si basava su una intuizione elementare: il corpo era parte del cosmo che era fatto di armonia e ritmo e quindi la musica, che è armonia e ritmo, poteva mettere il corpo malato in sintonia con il cosmo.
Nella cultura cinese del III secolo a.C. il primo libro di medicina è anche il primo libro conosciuto di musica e contiene la prima scala pentatonica.
In occidente Platone è stato tra i primi a dare un tentativo di spiegazione razionale degli effetti della musica sulla psiche, partendo anche lui dalla premessa che l’intero universo è costituito su ritmi e che la vita umana è basata su ritmo e armonia: la musica parla alla parte più istintiva della mente.
Aristotele parlava di “effetto liberatorio e catartico” in grado quindi di migliorare le tensioni psichiche.
Per Pitagora la musica poteva “modificare lo stato d’animo profondo, consentendo una maggiore consapevolezza di sé ed un più sapiente uso delle proprie capacità”.
In epoca medioevale in Estremo Oriente, per gli arabi strumenti musicali come il flauto, erano anche strumenti di terapia per alcuni disturbi mentali, mentre in Europa i monaci di nuovo erano i depositari del sapere medico e di quello musicale.
Nel periodo rinascimentale scuole mediche come quella di Salerno e come quella di Montpellier, partendo da concetti “laici” arrivano comunque all’idea di un “rapporto di vibrazione che si crea tra i corpi sonori come quello umano e l’ambiente che ci circonda”.
È nella prima metà del '700 comunque che si parla esplicitamente di “musicaterapia” e lo fa il medico musicista londinese Richard Brockiesby in un trattato che si diffuse in tutta Europa suscitando perplessità e polemiche.
Alla fine del '700 si approfondisce il concetto di “Scienza Musicale”, si parla di applicazioni anche alle patologie organiche, si comincia ad individuare la relazione intercorrente tra ritmo corporeo e ritmo musicale, tra pulsazioni, ritmo del respiro e battute musicali. Nell’800 i concetti diventano più scientifici e, come tutte le nozioni mediche, si comincia a sottoporre a verifica, con studi ripetibili e testabili, gli effetti della musica sul corpo e sulla mente delle persone, mentre in Germania Karl Strumph parla di “psicologia del suono”.
Oggi i mezzi di cui dispone la scienza medica riescono ad indagare anche sulle modificazioni che si attivano nelle aree cerebrali delle persone che ascoltano musica o che si pongono davanti ad un quadro: Semir Zeki ha definito “neuroestetica” la disciplina che cerca di capire le basi neurofisiologiche dell’arte e cerca di scoprire se esistono degli “universali artistici” che possiamo trovare in tutti noi indipendentemente dalla latitudine alla quale siamo nati e alla cultura alla quale apparteniamo.E le ricerche più moderne sembrano dirci che questi “universali” esistono davvero, confermando la nozione comune che l’arte non ha confini e riesce a parlare alla psiche di tutti, senza problemi di linguaggio o di idiomi.Abbiamo la conferma che il messaggio artistico viene elaborato soprattutto nel sistema dell’ippocampo e nel sistema limbico del nostro cervello, i quali hanno ampie connessioni sia con l’ipotalamo sia con la corteccia. Ed è soprattutto alla corteccia dell’emisfero destro, quello delle funzioni analogiche e che analizza in base a criteri ritmici, musicali, spaziali, che spetta il compito di elaborare gli impulsi che vengono dalla musica e dalle forme artistiche in generaleAbbiamo detto che il linguaggio musicale ha le caratteristiche di un “protolinguaggio” in quanto prescinde dal linguaggio elaborato in maniera cosciente. Ed è forse qui che c’è tutta la spiegazione del perché la musica possa agire sugli affetti e sui sentimenti molto di più di quanto possa fare il linguaggio verbale.
Ci può aiutare a capire meglio Gregory Bateson: “gli algoritmi dell’inconscio sono organizzati in modo del tutto diverso dagli algoritmi del linguaggio. E poiché gran parte del pensiero conscio elaborato dalla neocorteccia è strutturato in base alla logica del linguaggio, esso può accedere con grande difficoltà agli algoritmi dell’inconscio”.
E’ quello che Pascal diceva in modo più poetico: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”.
“L’arte” dice sempre Bateson “è una comunicazione di qualcosa di inconscio che le parole razionali non potrebbero dare allo stesso modo” e ricorda una citazione di Isadora Duncan: “Se potessi dire con le parole che cosa significa, non avrei bisogno di danzarlo”.
Ed è per tutto questo che l’arteterapia si pone oggi, con strumenti del tutto nuovi e con grandissime potenzialità, in quello che continua ad essere la frontiera più affascinante per chi voglia capire meglio la condizione umana: il rapporto tra mente e corpo, ha connessione tra la parte istintuale e inconscia dell’animo umano e quella razionale.

1 commento:

  1. ciao complimenti per il blog molto carino...oggi la musica per i giovani è diventata proprio un mezzo di comunicazione dove esprimersi liberamente senza vincoli e senza vergogna!!!!

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