sabato 16 maggio 2009

La musica è doping!

Chi di voi fa uso di musica nella sua vita? Volenti o nolenti tutti.

E quanti si sono sentiti in colpa per averlo fatto? Penso proprio nessuno!

Infatti la musica per tutti è parte integrante della vita, per molte persone è utile e piacevole, per qualcuno è la propria vita.

E per gli sportivi?

Possiamo dire che la musica è una ottima accompagnatrice nelle nostre sessioni di lavoro, ci aiuta ad allenarci e a passare il tempo in certi lavori che altrimenti risulterebbero noiosi e per loro natura ripetitivi. Un esempio lampante lo troviamo negli sport tecnici in cui un gesto atletico deve essere ripetuto migliaia di volte per automatizzarlo nel modo corretto fino a sfiorarne la perfezione e un supporto musicale è ideale per accompagnarci.

Eppure nelle maratone è stato vietato l’uso dei lettori mp3 e della musica in genere perchè ritenuta doping a livello prestazionale; effettivamente la musica ha il potere di caricare una persona positivamente o negativamente, di evocare emozioni e stati d’animo che poche altre cose legali possono fare e allo stesso modo può favorire la liberazione di endorfine dalla corticale e di conseguenza far sentire meno la fatica.

Da un certo punto di vista, in gara e nelle competizioni reputo più che giustificata questa scelta di vietare la musica, in quanto in fin dei conti si tratta di un agente esterno che va a cambiare lo stato fisico-emotivo di una persona e a modificare l’esito del risultato sia in positivo che in negativo.

Rimane pur sempre una forma di doping che non lascia tracce in analisi, non è perseguibile dalla legge farne uso (ci mancherebbe solo questa) ed è forse al cosa più salutare del mondo dopo il sesso!

Usiamo quindi la musica come stimolante nei nostri allenamenti quotidiani, per reggere carichi maggiori, per non sentire il dolore e per farci forza nel continuare a perseguire i nostri obbiettivi. L’utilizzo migliore si ha quando si cercano di superare i limiti fissati nella sessione precedente proprio come farebbe un dopping vero e proprio.

Allora ascoltiamola per questo scopo: il corpo è in grado di raggiungere livelli prestativi che neanche riusciamo a immaginare, i margini ci sono sempre in ogni persona, la cosa che di norma manca è lo stimolo a superarsi, e una volta superato questo limite il corpo tende automaticamente a compensare l’allenamento e ad addattarsi nel modo corretto, in modo che negli allenamenti successivi sia più semplice raggiungere questo limite e superarlo.

E qui entra in gioco la musica che possiamo usare come stimolo per raggiungere certi traguardi e automatizzarli! In questo modo arrivati alla gara non avremo più bisogno di questi stimoli perchè la prestazione sarà diventata cosa naturale.

La musica è di tutti, fa bene, fa provare emozione e può essere usata da chiunque.

Usiamola!





mercoledì 13 maggio 2009

Gli effetti della musica nella vita introuterina.


Da quando il noto medico-musicoterapeuta francese Alfred Tomatis, negli anni sessanta, orientò le sue ricerche sul suono al rapporto di quest’ultimo con la vita intrauterina, e stabilì alcuni principi sull’importanza della musica per lo sviluppo fetale, molti studi e approfondimenti sono stati compiuti. Oggi la comunità scientifica è concorde nel ritenere che - come dice il prof. D.Chamberlain – “i bambini non ancora nati sono sensibili, coscienti, comunicativi, intelligenti”.

Durante la vita intrauterina si è notato che nelle ultime 24 settimane gli organi sensoriali dell’udito del nascituro sono anatomicamente formati e funzionanti. Il piccolo è in grado di memorizzare ciò che ascolta e una volta nato ricorda le esperienze sonore prenatali e ne viene gratificato ogni volta che ha la possibilità di riascoltarle. Per queste ragioni in diversi reparti di neonatologia (in Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone) ai piccoli nati prematuri o con qualche problema patologico si fanno ascoltare le registrazioni della voce materna e delle musiche propostegli negli ultimi mesi di gestazione. Sulla base di questi suoni, il piccolo, a intervalli regolari , viene trattato con dolci tocchi manuali. I risultati di questo tipo di massaggi sono strabilianti. Così li riassume il prof. M.Couronne: “Dopo pochi minuti il respiro e la frequenza cardiaca del piccolo si regolarizzano, il colorito torna alla normalità e sono evidenti i segni dello stato di benessere”.

Ma il tocco materno è fondamentale anche per i neonati che non presentino situazioni critiche, ma siano semplicemente agitati per coliche gassose, per difficoltà di sonno, perché ancora traumatizzati dalla nascita. Il tocco manuale sul petto, sull’addome, sulle gambe stimola il rilascio di neuropeptidi che inviano messaggi all’ipotalamo e al sistema immunitario, regolando il peso, il sonno, la respirazione e nello stesso tempo favorendo una reazione armonica con la madre o i genitori. Il tutto si manifesta con un espressione beata sul volto del piccolo.
Altrettanto interessanti sono state le ricerche e i risultati di un gruppo di studiosi guidati dal prof. Brent Logan, direttore dell’istituto di prenatalità di Shohomish (Stato di Washington) sulla stimolazione sonora nell’ultima fase prenatale e postatale con suoni di musiche percussive il cui ritmo non si discosti da quello del cuore umano. Favoriscono lo sviluppo delle sinapsi e dei collegamenti neuronali.

Da qualche decina d’anni, sotto la spinta delle esperienze straordinarie del prof. L.Leboyer e dei suoi allievi, anche nella cultura occidentale è stata introdotta la millenaria abitudine del canto materno come un momento importante e salutare per la madre e il piccolo nella preparazione al parto. E’ l’esperienza del “canto carnatico“, così chiamata perché originaria dell’India meridionale.Così la maestra di canto prenatale Marie-Louise Aucher riassume l’importanza del rapporto madre-figlio attraverso il canto. "Il canto materno sollecita ampie possibilità nella percezione di se. Tutto il sistema neurocerebrale e di conseguenza il sistema immunitario del piccolo ne avranno un beneficio immenso che si rifletterà sul suo futuro sviluppo".

Il canto di alcune ninna-nanne, preceduto da alcuni esercizi di rilassamento e di respirazione “vibrata” consente alle madri di rilassarsi e di respirare più profondamente senza sforzo. Ne traggono giovamento sia il corpo della madre sia quello del piccolo: maggiore ossigenazione e maggiore elasticità del diaframma (importante per il parto). Il suono della voce, vibrando anche nell’interno del corpo della madre, costituisce un sottile e benefico messaggio sia per lei sia per il nascituro.
Aldilà di ogni esperienza musicale, utilissima, come si è potuto capire per lo sviluppo del piccolo, non si dimentichi mai che nessuna musica può sostituire la voce materna, con quel timbro particolare, che il bimbo conosce e riconosce da quando si sviluppa nella sua “casa placentale”.

Parlate dunque, cantate, sorridete, mormorate nenie e filastrocche, perché il suono della voce materna è il filo conduttore e l’ancora della vita del piccolo prima e dopo la nascita.

Gli effetti della musica sulla natura.

La musica sembra avere effetti molto positivi non solo sugli esseri umani, ma anche sulle piante. Alcuni agricoltori biologici usano vari suoni, (ad esempio il canto degli uccelli) che favoriscono l'apertura degli stomi. L'uso della musica, associata ad uno spray fogliare organico si sta rivelando un buon fertilizzante, perchè in questo modo la pianta assorbe una maggiore quantità di nutrienti (www.biospazio.it). Aggiungo anche che la musica è stata utilizzata per far crescere gli ulivi in maniera genuina e piu' veloce. Sulla musica ci sarebbe ancora molto da dire ma non voglio scrivere di più per lasciarvi la sperimentazione di codesta "dea" dell'anima al vostro discreto e sensibile giudizio. Sperimentate la musica su di voi! Può farvi solo del bene.

Gli effetti della musica fin dall'antichità.

L'effetto della musica (e dell’arte più in generale) sulla psiche e sull’animo umano era noto fin dalla antichità: nelle prime civiltà note i sacerdoti erano i depositari dei saperi ed insieme dispensatori delle terapie.
Nei rituali che dovevano scacciare il male dal corpo i movimenti, i ritmi ed i suoni erano fondamentali e tutto si basava su una intuizione elementare: il corpo era parte del cosmo che era fatto di armonia e ritmo e quindi la musica, che è armonia e ritmo, poteva mettere il corpo malato in sintonia con il cosmo.
Nella cultura cinese del III secolo a.C. il primo libro di medicina è anche il primo libro conosciuto di musica e contiene la prima scala pentatonica.
In occidente Platone è stato tra i primi a dare un tentativo di spiegazione razionale degli effetti della musica sulla psiche, partendo anche lui dalla premessa che l’intero universo è costituito su ritmi e che la vita umana è basata su ritmo e armonia: la musica parla alla parte più istintiva della mente.
Aristotele parlava di “effetto liberatorio e catartico” in grado quindi di migliorare le tensioni psichiche.
Per Pitagora la musica poteva “modificare lo stato d’animo profondo, consentendo una maggiore consapevolezza di sé ed un più sapiente uso delle proprie capacità”.
In epoca medioevale in Estremo Oriente, per gli arabi strumenti musicali come il flauto, erano anche strumenti di terapia per alcuni disturbi mentali, mentre in Europa i monaci di nuovo erano i depositari del sapere medico e di quello musicale.
Nel periodo rinascimentale scuole mediche come quella di Salerno e come quella di Montpellier, partendo da concetti “laici” arrivano comunque all’idea di un “rapporto di vibrazione che si crea tra i corpi sonori come quello umano e l’ambiente che ci circonda”.
È nella prima metà del '700 comunque che si parla esplicitamente di “musicaterapia” e lo fa il medico musicista londinese Richard Brockiesby in un trattato che si diffuse in tutta Europa suscitando perplessità e polemiche.
Alla fine del '700 si approfondisce il concetto di “Scienza Musicale”, si parla di applicazioni anche alle patologie organiche, si comincia ad individuare la relazione intercorrente tra ritmo corporeo e ritmo musicale, tra pulsazioni, ritmo del respiro e battute musicali. Nell’800 i concetti diventano più scientifici e, come tutte le nozioni mediche, si comincia a sottoporre a verifica, con studi ripetibili e testabili, gli effetti della musica sul corpo e sulla mente delle persone, mentre in Germania Karl Strumph parla di “psicologia del suono”.
Oggi i mezzi di cui dispone la scienza medica riescono ad indagare anche sulle modificazioni che si attivano nelle aree cerebrali delle persone che ascoltano musica o che si pongono davanti ad un quadro: Semir Zeki ha definito “neuroestetica” la disciplina che cerca di capire le basi neurofisiologiche dell’arte e cerca di scoprire se esistono degli “universali artistici” che possiamo trovare in tutti noi indipendentemente dalla latitudine alla quale siamo nati e alla cultura alla quale apparteniamo.E le ricerche più moderne sembrano dirci che questi “universali” esistono davvero, confermando la nozione comune che l’arte non ha confini e riesce a parlare alla psiche di tutti, senza problemi di linguaggio o di idiomi.Abbiamo la conferma che il messaggio artistico viene elaborato soprattutto nel sistema dell’ippocampo e nel sistema limbico del nostro cervello, i quali hanno ampie connessioni sia con l’ipotalamo sia con la corteccia. Ed è soprattutto alla corteccia dell’emisfero destro, quello delle funzioni analogiche e che analizza in base a criteri ritmici, musicali, spaziali, che spetta il compito di elaborare gli impulsi che vengono dalla musica e dalle forme artistiche in generaleAbbiamo detto che il linguaggio musicale ha le caratteristiche di un “protolinguaggio” in quanto prescinde dal linguaggio elaborato in maniera cosciente. Ed è forse qui che c’è tutta la spiegazione del perché la musica possa agire sugli affetti e sui sentimenti molto di più di quanto possa fare il linguaggio verbale.
Ci può aiutare a capire meglio Gregory Bateson: “gli algoritmi dell’inconscio sono organizzati in modo del tutto diverso dagli algoritmi del linguaggio. E poiché gran parte del pensiero conscio elaborato dalla neocorteccia è strutturato in base alla logica del linguaggio, esso può accedere con grande difficoltà agli algoritmi dell’inconscio”.
E’ quello che Pascal diceva in modo più poetico: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”.
“L’arte” dice sempre Bateson “è una comunicazione di qualcosa di inconscio che le parole razionali non potrebbero dare allo stesso modo” e ricorda una citazione di Isadora Duncan: “Se potessi dire con le parole che cosa significa, non avrei bisogno di danzarlo”.
Ed è per tutto questo che l’arteterapia si pone oggi, con strumenti del tutto nuovi e con grandissime potenzialità, in quello che continua ad essere la frontiera più affascinante per chi voglia capire meglio la condizione umana: il rapporto tra mente e corpo, ha connessione tra la parte istintuale e inconscia dell’animo umano e quella razionale.